Tutti negano, ma i soldati italiani letteralmente scomparsi in Russia, cioè quelli di cui non si ha certezza della morte, sarebbero numerosi. Insomma, quelli che avrebbero deciso di restare. “Impossibile” dicono le autorità – perchè ai tempi di Stalin i controlli erano cosi severi che nessuno sarebbe riuscito a nascondersi”. E poi perchè non si sono fatti vivi in cinquant’anni? “Spesso ci arrivano in effetti notizie di italiani che vivono tuttora in Russia o in Ucraina” ammette però Vladimir Galickji, colonnello dell’esercito “ma non è facile rintracciarli. Recentemente mi hanno segnalato, ad esempio, la presenza di un certo Arturo Compalto, ma il suo nome non figura nelle schede sui prigionieri presenti nei nostri archivi».
Una cronista locale, Elena Zelenina mi racconta la storia: “Un camionista di Vicenza, Giuliano Colcera, una sera a Usgorod è avvicinato da un vecchio di circa settant’anni, piuttosto basso, capelli bianchi, occhi bruni, naso tarchiato. Si presenta: sono italiano, mi chiamo Arturo Campalto. Ci vediamo stasera e vi racconto la mia vita”. Poi? “Nient’altro. Alla sera il vecchio non si presenta, facendo perdere sue le tracce. Sappiamo anche di altri italiani che si sono fatti una famiglia qui. Almeno due”. Arturo Campalto in Italia è considerato ufficialmente disperso. Partito per la guerra come artigliere, nel suo paese, Bojon di Campolongo Maggiore in provincia di Vicenza, c’e una lapide in memoria dei caduti che porta anche il suo nome. Forse ormai è morto davvero, di vecchiaia.
Ma chi sono questi italiani scomparsi nel nulla? Probabilmente si tratta di miracolosi superstiti della tragica ritirata. Qualcuno sussurra che potrebbe anche trattarsi di disertori. Più probabilmente di uomini sull’orlo della morte salvati dall’amore di qualche contadina e magari anche di antifascisti che temevano il ritorno in patria oppure ‘rieducati’ scientificamente da funzionari comunisti. Chissà. E’ molto difficile che qualcuno dell’Armir sia ancora vivo. Certamente, nella ricerca di una verità cosi lontana, che sembrava ormai sepolta, accanto ai morti vale la pena forse di cercare soprattutto i vivi.
Su un documento d’epoca, si legge: “Nel secondo periodo della prigionia, a partire dall’aprile del ’43, tutti i prigionieri, suddivisi per nazionalità, furono avviati ai campi. Quei prigionieri che erano stati prima alle dipendenze di reparti militari russi, o che si erano potuti nascondere, presso compiacenti famiglie di contadini, dovettero inesorabilmente venir accompagnati ai campi. Per cui posso escludere nel modo più assoluto che dei nostri prigionieri sussistano tuttora in Russia, ospiti di famiglie private, come credono molti italiani”. Bisogna dar certamente credito a un testimone diretto. Ma chi può sapere se ci sono state famiglie di contadini più compiacenti di altre? O se la voglia di fuga sia stata più forte della paura di essere catturato? In ogni caso, perchè è cosi terribile conoscere la verità? Nello stesso diario, più tardi, l’autore non ha più grandi certezze. Scrive infatti, improvvisamente cauto: “Dobbiamo pensare che non esistano in Russia nostri connazionali. E questa una notizia tremenda, che però sentiamo di poter dare con perfetta coscienza, perchè tutti gli elementi in nostro possesso ci confermano questa asserzione: pur non potendo assolutamente escludere che in Russia vi sia ancora qualche italiano vivo, disperso o confuso fra prigionieri di altra nazionalità, si deve ritenere che i nostri Fratelli non rimpatriati siano tutti deceduti, vittime innocenti di una guerra e di un nemico implacabile”
Molti dubbi per Frango La Guidara, autore di “Ritorniamo sul Don” edito nel 1963:“Nell’agosto del 1960 incontrai numerosi ex soldati dell’Armir dispersi in Ucraina e là trattenuti abusivamente. Ho centinaia di foto che lo dimostrano. In quel periodo i russi asserivano, mentendo, di non trattenere più prigionieri italiani”. Con obiettività e chiarezza scrissi quanto avevo visto e saputo durante il mio viaggio, ma i nostri governanti non poterono efficacemente intervenire. Anzi incontrarono seri ostacoli perchè in Unione Sovietica, che pure era sotto il regime di Kruscev, dominava ancora il furore voluto da Stalin”.
Poi ci sono altre storie. Tanti grandi amori, come quello tra Liubov e Remigio, ma anche qualche amore brevissimo. Che scopriamo a Filonovo.
“Conosco una donna che dice di essere figlia di un italiano. E’ venuta da me per cercare di sapere chi è il padre, magari voi potete aiutarla”. In fondo al paese c’è una casa dipinta di celeste. Nina Ivanovna Kosykh cerca di nascondersi, poi racconta: “Sono nata il 31 maggio del 1943. Quando avevo cinque anni mia madre Marta mi confidò di aver avuto una storia d’amore con un soldato italiano. Non so neppure il nome, non me l’ha voluto dire, ma ogni giorno per anni mi ha ripetuto che era un bravissimo ragazzo, dolce, generoso, portava da mangiare a tutti perché faceva il cuoco. Ho avuto grandi problemi da ragazzina perché a scuola mi deridevano, mi chiamavano ‘l’italiana’ e mi accusavano di essere figlia di un invasore. Mia madre non si è mai sposata e mi ha messo il cognome del fratello, mio zio”. Nina si commuove. “Ho due figli, Nicolaj e Liubov. Nicolaj mi ha regalato due nipotini. Mi somigliano tutti, beh da queste parti scorre molto sangue italiano…” Nina non è bella, ha i baffi addirittura ma non ci permettiamo battute. Adesso sorride, confessa: “Mica sono la sola, ci sono altre due figlie di italiani qui nel paese. Anzi, erano tre ma una è saltata su una mina, sapete quelle scatolette rosse lasciate dai vostri soldati. Uno strano destino per la figlia di un italiano essere uccisa da una mina italiana. Chissà, forse in quel bosco che abbiamo visto al mattino c’era anche il padre di Nina, quel cuoco.
[da “Lettere dal Don” di Pino Scaccia]
i miei genitori hanno sempre sperato che il loro figlio dato x disperso si fosse rifatto una vita in russia,anche perchè in una delle ultime lettere e fotografie spedite da Millerovo vi erano delle belle ragazze,e mio fratello diceva che la gente là era buona.
L’ultima speranza di tutti . . . .
Probabilmente per alcuni è andata cosi’,le donne russe erano molto attratte dai nostri soldati, ma penso che siano stati molto pochi coloro che decidettero di rimanere in russia volontariamente
ognuno è libero di pensarla come gli pare, poi ci sono le testimonianze dirette, del resto anche gli italiani (tutti molto giovani) erano attratti dalle donne russe senza considerare i drammatici disagi della guerra
molti hanno saputo della fine delle ostilità molti anni dopo, oltretutto
buonasera sig scaccia volevo chiedergli: secondo lei piu’ o meno quanti potrebbero essere i nostri soldati che sono rimasti a vivere in russia,perche’ dai libri che ho letto quando i reduci sono rientrati dalla prigionia molte ragazze hanno implorato che i nostri soldati si fermassero a vivere con loro
grazie. perlo m.
Nessuno naturalmente è in grado di dirlo. Non moltissimi, ma neppure pochi. Prima considerazione: tutti i libri sono stati scritti dai reduci. E, per fortuna, moltissimi sono tornati quindi è chiaro che non potrebbero mai scrivere su certe vicende, anche perchè forse non le conoscono.. Su chi non è tornato, lo sappiamo benissimo, non ci sono certezze. Come si fa stabilire quanti non sono tornati perchè morti oppure per altri motivi? Il caso di Arturo Campalto, il camionista di Vicenza che vive e lavora a Kiev, è sintomatico: nel paese di origine c’è anche il suo nome nella lapide dei caduti. Ovvio che lo hanno dato per deceduto. E’ sicuro, per esempio, che molti antifascisti sono rimasti in Russia perchè in Italia c’era ancora il regime. Una cosa è certa: sia la prima volta che sono stato nella valle del Don che la seconda ho raccolto molte testimonianze che parlavano degli “italiani”. Magari qualcuno…si è fatto convincere dalle implorazioni di chi lo ha oltretutto salvato…
non ricordo dove ho letto del caporal maggiore betti alpino di bergamo dato per disperso il 26/01/1943 che un compagno reduce insisteva nel dire che lui era vivo e che nel luglio del 1944 e viveva presso una famiglia in russia
Appunto. Chi è tornato non sempre lo sa, oltretutto. C’era la guerra, una situazione drammatica. Se qualcuno si fosse nascosto in qualche casa di contadini lo avrebbe fatto all’oscuro di tutti, anche dei compagni. Mi fido di più delle “impressioni” dei russi: nella valle del Don sono tutti villaggi e si sa tutto di tutti. Ma c’è anche un tacito impegno di non parlare di chi è rimasto. Magari anche per salvaguardare se stessi. A quei tempi naturalmente era un reato nascondere uno straniero nemico e con Stalin non si scherzava. E ancor oggi non è salutare parlarne, dopo tanto tempo. Insomma, è destinato a rimanere uno dei tanti misteri di quella tragica campagna.
io ho avuto la fortuna di conoscerne uno il grande scultore triestino Spagnoli lui anni fa mi raccontò lasua storia Si e salvato grazie ad una ragazza partigiana russa che lo ha tenuto nascosto!!
buongiono sig. scaccia.ieri pensavo che i nostri soldati rimasti in russia avranno avuto dei figli,che a sua volta saranno stati censiti e forse si troveranno con un cognome italiano.i figli stessi si saranno fatti delle domande sulla loro provenienza o sbaglio?
Vedo che l’argomento ti interessa molto. In un altro capitolo ho già parlato dei figli di italiani. Ovvio che non esiste censimento perchè si tratta comunque di clandestini e avranno preso le loro precauzioni. Nei casi ufficiali, la storia è nota. Quella di Liubov che ho incontrato è la più bella. La cercherò per riproporla.
buonarsera sig. scaccia scusi ma non ho mai molto tempo libero, comunque l’argomento mi piace molto ho letto i libri di nuto revelli ,il sacrificio della julia di carlo vicentini, anche perche’ un cugino di mio nonno che si chiamava perlo sergio è disperso russia con la julia era con il btg. tolmezzo mi sta aiutando nelle ricerche il sig. maurizio dal foglio matricolare risulta disperso il 23/01/43 in una localita’ chiamata MIKITIWA o MIKITIWRA che non riusciamo a capire se il nome della localita’è stato trascritto male o altro perche’ non si conosce. Voglio fare i coplimenti per il bellisimo sito che da quando ho conosciuto visito spesso.
saluti M. PERLO
neppure io ne ho mai sentito parlare, so che esiste una località che si chiama NIKITA, una grande città, sulle rive del mar Baltico dove sfocia il fiume Don…
Oppure è molto più facile che sia sbagliato il nome e si tratti di NIKITOWKA nella regione di Voronej. Lì c’era un gulag e lì sono stati sepolti 62 italiani in due cimiteri.
ho pensato anche io a quella localita’ ma il sig. maurizio mi ha detto che la julia il 23/01/43 era nella zona scheljakino
a nikitowka sono arrivati il 25/01/1943 ed erano rimasti in pochissimi circa 50 alpini che poi si sono uniti alla colonna ed hanno combattuto a nikolajewka.
mio padre e stato fortunato e riuscito a tornare vivo ma ci raccontava sempre che li avevas avuto un figlio da una contadina russa che lo aveva aiutato durante la prigionia lui e morto da 54anni e a me farebbe piacere ritrovare questo fratello ma non saprei da dove cominciare !!
beh, non è facile senza riferimenti…
Mio marito ha un cugino di 3 grado ,deve compiere quest’anno 100 anni e’ stato prigioniero in russia, ha scritto un libro, ricorda tutto e ancora ha un pensiero perfetto
bed.carmine@virgilio.it
[…] di Russia“ (Longanesi & C., 1965) Pino Scaccia: “Lettere dal Don“ (RAI – ERI, 2011) https://letteredon.wordpress.com/2014/01/29/quelli-che-sono-rimasti/ […]
[…] ritirata di Russia” (Longanesi & C., 1965) Pino Scaccia: “Lettere dal Don”(RAI-ERI, 2011) Lettere dal Don Plini […]
Io ho seri dubbi che fra i dispersi vi siano stati degli “imboscati” proprio perché per questi soggetti inserirsi nella Russia staliniana con una nuova identità sarebbe stato impossibile. Questa tesi è anche avvallata da Reginato, che tornò in Italia nel ’54, dopo 12 anni di campi di concentramento, prigione e gulag. Senz’altro qualche scappatella qualche soldato l’ha fatta durante la campagna, e ne sono rimaste le conseguenze tangibili; ma questo è tutt’altra cosa rispetto al dire che dei soldati italiani siano rimasti da soli in Russia e lì si siano rifatti una vita in incognito. In conclusione, il film “i girasoli, secondo me è una gran fesseria,
si da il caso che io qualcuno ne ho trovato….per esempio Arturo Campalto di Vicenza celebrato nel monumento ai caduti del suo paese che…fa il camionista a Kiev
rari nantes in gurgite vasto
io ho avuto la fortuna di conoscerne uno il grande scultore triestino Spagnoli lui anni fa mi raccontò lasua storia Si e salvato grazie ad una ragazza partigiana russa che lo ha tenuto nascosto!!
Nel mio paese in Sicilia, fino a pochi anni fa è vissuto un uomo ritornato dalla Russia o Ucraina molti anni dopo la fine della guerra. In paese si diceva che fosse vissuto presso una famiglia di contadini in Russia o Ucraina, lavorando come collaboratore.
Allora.
Se era stato Prigioniero in effetti tornarono nel 1945 e pochissimi altri ma erano quasi tutti Ufficiali negli anni seguenti.
Potresti chiedere la Copia del Foglio Matricolare di quell’uomo all’Archivio di Stato e vedere il Reparto e la data di rientro e poi facci sapere.
Ciao.
Maurizio
Mio padre, disperso, ma rientrato in Italia, a piedi, dopo un paio di anni, mi raccontava di essersi nascosto presso alcune “isba” massimo per una notte, perchè rischiava di essere denunciato! Era ricercato dai Tedeschi, dai Russi e dagli Italiani! Era richiamato, nei Cavalleggeri che combatterono in quel contesto!
il film italiano I GiRASOLI e storia vera Ma con un po di fantasia per la realizzazione del film
Nel 2016 mi trovavo nella citta di Kolomia in Ukraine per un mio concerto
e durante la mia visita in città accompagnato dalla mia interprete mi fermo un uomo con una barba molto lunga e mi parlava in ukraine
Sapendo che ero italiano,lo aveva letto su i Poster della pubblicità
mi fermo e mi guardava fisso negli occhi poteva aver su i i 80 anni forse piu
il suo sgurdo era triste e nel parlare era molto emozionato
nel vedermi .Mi tocco e chiesi alla mia interprete se parlavo in ukraine
lei gli rispose che parlavo solom italiano e che avrebbe voluto parlarmi in italiano ma si limitò solo a chiedermi di Padre PIo che era devoto a Padre Pio
che avrebbe desiderato molto andare da lui.
Lo guardai bene e chiesi alla mia interprete che quel signore era un Italiano
Come poteva conoscere Padre Pio.
Per me quel signore era un italiano anche la mia interprete lo disse
Aveva gli occhi lucidi…