Ha inseguito per anni lo «zio Antonio disperso al fronte nel ‘43». L’ha cercato frugando negli archivi e nelle memorie sbiadite dei sopravvissuti. Ha catalogato lettere, fotografie ingiallite, vecchie cartine. Ha persino studiato il russo, Silvia, per trovare «il fratello di nonna Piera, svanito sul Don e nel nulla nell’inverno del 1942». Qualche settimana fa è partita da Almese e lo ha riabbracciato «in un bosco di betulle, 450 chilometri a sud-est di Mosca». Silvia Falca si è messa sulle tracce del «fante Gallia Antonio, classe 1912, da Marmentino, Brescia» nel 2007: «Lo avevo promesso alla nonna. E a me stessa» dice. Pochi gli indizi: «Una manciata di foto; la diaria di ottobre che nonna Piera non volle mai incassare. E tre lettere». C’è quella che Antonio scrisse quando mancava solo più un mese al Natale del ‘42: «Cara Pierina, ora ti devo dire che domani partiamo di qua e non sappiamo dove andiamo e mi dispiace perché qui eravamo accomodati molto bene». Non aveva torto, Antonio, che si ritrovò all’improvviso sbalzato nell’inferno della prima linea. A gennaio è tutto finito: i russi hanno travolto le difese sul Don, chi non è caduto nei combattimenti viene annientato dal gelo, le marce forzate, gli stenti e le brutalità dei campi di prigionia. Il mese dopo, a Gomel’, solo in 2700 rispondono alla conta. All’appello mancano più di 7500 uomini, la gran parte sembra svanita nel nulla, la «Vicenza» viene cancellata. Non ha miglior sorte Antonio, «disperso nella terza decade di gennaio 1943 XXI, durante i combattimenti del Don, Russia», comunica il 24 luglio del ‘43 il Ministero della Guerra. L’ultima lettera alla famiglia arriva nel 2000: «Il soldato Gallia Antonio, internato in un Campo di cui si sconosce l’ubicazione, è deceduto il 9 marzo 1943» scrive il ministero della Difesa. Morto, insomma, e da cinquantasette anni. «Antonio lassù, sul fronte orientale, ci arrivò nel ‘42 con i panni grigioverdi della 156ª Divisione Vicenza» racconta Silvia. Doveva andare in Francia, il viaggio durò invece tre settimane, la tradotta lo scaricò in Russia, alle spalle dell’Armir disperatamente aggrappato alle rive del Don.
Per Silvia cercare lo zio è come trovare un ago in un pagliaio «perché sull’ansa di quel dannato fiume combatterono oltre 230.000 italiani». Non si perde d’animo, contatta ministeri, associazioni, gruppi di reduci. A Roma scova il «verbale di irreperibilità » dello zio e risale all’unità in cui era inquadrato: «277° Reggimento, III Battaglione, Compagnia Cannoni 47/32». Trecentoventicinque soldati, 8 pezzi d’artiglieria, 80 muli e due autocarrette, per la precisione. E un comandante, il capitano Valentino Husu, sopravvissuto. Silvia contatta la famiglia, recupera il diario dell’ufficiale, ricostruisce gli ultimi spostamenti del 277°. «Kupjansk, Novoajdar, Belo Kurakino. Poi Rossoš, nelle retrovie, a proteggere la ferrovia» indica Silvia sulla vecchia cartina della Wehrmacht. Infine a Sud di Pavlovsk, dicembre del ‘43, tra la Cuneense e la Tridentina nell’impossibile tentativo di trattenere l’urto dell’avanzata sovietica. Tutto inutile, dello zio si perdono nuovamente le tracce.
Silvia non si arrende. A Mosca, caduto il Muro di Berlino, gli archivi della NKVD, la famigerata polizia segreta sovietica, stanno svelando l’atroce contabilità dei gulag. Silvia incalza l’ente russo Memoriali Militari e il Commissariato del Popolo degli Affari Interni. L’intuizione è giusta: nel 2009, dopo un anno di tentativi, dagli schedari viene alla luce il fascicolo del «prigioniero di guerra Gallia Antonio ricoverato il 24 febbraio 1943 a Tambov, ospedale 2599». Tambov, dunque, ecco dov’era finito. In quelle pagine, in bella grafia, gli ultimi giorni dello zio: «Il paziente è estremamente grave. Polso filiforme. Defeca addosso. Lingua secca patinosa. Cuore: limiti nella norma. Toni sordi» annota l’8 marzo il medico di turno. Antonio spira l’indomani «alle ore tre del mattino». Silvia l’ha finalmente abbracciato questa estate nel bosco di betulle cresciuto dove un tempo sorgeva l’ospedale 2599. «I russi dicono che ce n’è una per ogni caduto», sussurra Silvia. Impossibile contarle, le betulle di Tambov: sono troppe, forse non abbastanza per ricordarli tutti. Roberto Travan La Stampa La foto del fiume Don è di Silvia Falca
Ogni volta che rileggo questa storia, non posso fare a meno di commuovermi……..Silvia, sei stata più brava di tanti di noi, sei riuscita a scavare nel passato, ritrovando le strade giuste, forse anche con un pizzico di fortuna, ma sicuramente tanta perseveranza e testardaggine…e impegno. Ed ecco che ci hai ” presentato ” Antonio, questo caro ragazzo , che , assieme ai nostri amati e mai dimenticati eroi, riposa all’ombra delle betulle….
“Non importa , se il tempo è passato, scavalcando decenni e stagioni,;
non importa se chi amiamo, che neppure abbiamo conosciuto, ci sorride solo attraverso la carta ingiallita di una antica foto;
non importa se oramai , non rimane che ..polvere;
Noi sappiamo che lo spirito di un uomo, come di tanti, vaga inquieto negli spazi infiniti della steppa, in attesa da sempre , di una lacrima versata, di un sospiro d’amore , di una carezza trasportata dal vento.
E a noi piace, ….questa ..polvere.
grazie Silvia
Cara Renza sono un disastro, faccio troppe cose… Ricordo che mi avevi mandato un bellissimo resoconto anche del tuo viaggio in Russia ma non riesco a ritrovarlo, porca miseria! Non è che puoi rimandarmelo per email? Grazie e scusa.
Signor Pino, ho già risposto alla mail in posta . comunque ciò che mi chiede è in questo sito, nella pagina ” La memoria”, in data 26 settembre….un abbraccio ( Oppure se vuole una mail, lo devo ricopiare in posta, penso, non sono molto …informatica)
Trovato, grazie!
Cosa si può dire a commento carissima Silvia ,
non trovo le parole ,ho letto il resoconto del tuo viaggio-pellegrinaggio e mi sembrava di essere con te in quei luoghi ; che emozione grande mi hai fatto vivere ,mano a mano che le parole scorrevano sotto ai miei occhi dovevo interrompere la lettura perchè le lacrime me li velavano e un groppo mi saliva alla gola .
Scorrendo i post di questo meraviglioso sito , voluto da meravigliose persone , si può giungere a una sola conclusione:
l’amore per le persone care è veramente eterno , e niente può fermarlo.
Grazie Silvia!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
Sergio
Il sito è bello perchè lo fate voi.
Per Sergio.
Stasera sono contento !!BENE !!Allora qualche spunto di riflessione per Sergio e Tutti quelli del Blog di Pino.
AMORE è un sinonimo di DIO.E’ la colla che tiene assieme TUTTO l’ESSERE e l’Esistere.
Amare significa DARE senza Nulla chiedere in cambio.
Eterno significa Assenza di Tempo.
Infinito significa Assenza di Spazio.
Essere Persone UMANE significa provare Emozioni,Desideri,Pensieri e non sentirsi “nulla”.
E………. mi fermo qui .Un GRAZIE di Cuore a TUTTI.
Maurizio
Grande Maurizio!
Vorrei gentilmente chiedere a Silvia come ha fatto a contattare il Commissariato del Popolo degli Affari Interni. Io ho già contattato l’Ente Memoriali Militari senza ottenere risultati. Sarebbe interessante per me saperlo dal momento che mio nonno ricorda di una testimonianza di un Ufficiale che ha visto suo fratello tra le fila dei prigionieri a Rossosch. Grazie
Cari amici,è sempre bello e toccante leggere tutte le testimonianze,i pensieri e le emozioni che sono in ognuno di noi!
Per questo ringrazio tutti voi…amici e parenti che siete rimasti la,ma che ancora adesso siete capaci di farci provare tutto questo!